I baby fenomeni di oggi avranno carriere meno longeve? Questo interrogativo ce lo siamo posti e lo stiamo ponendo a diversi protagonisti della bicicletta: recentemente al nostro podcast BlaBlaBike sia Domenico Pozzovivo che Paolo Bettini hanno affermato che «la coperta è corta, chi inizia a essere vincente presto è destinato altrettanto presto a smettere di esserlo».
Parole provenienti da campioni che, chi più chi meno, appartengono al ciclismo della generazione precedente, abituata ad esplosioni meno baby e maturazioni più lunghe. A sottoporre la questione direttamente all’uomo-simbolo della nouvelle vague ciclistica, Tadej Pogacar, ci ha invece pensato la collega di CyclingTips Kate Wagner, che ha intervistato il fenomeno della UAE a margine di un evento benefico del suo sponsor Plume (azienda slovena che fornisce servizi wi-fi intelligenti).
Nell’occasione, Pogacar ha innanzitutto parlato dell’impegno nel sociale, sia attraverso la propria squadra giovanile, il Pogi Team («La mia famiglia mi ha permesso di coronare il mio sogno sportivo: ora che sono al top non voglio semplicemente stare sul divano a godermelo, bensì permettere ad altri ragazzi di avere le stesse opportunità che ho avuto io, tutti meritano una chance in partenza») sia attraverso la Fondazione Tadej Pogacar: «La mamma di Urska Zigart, la mia fidanzata, ha lottato contro ben due cancri e il secondo le è stato fatale: dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per trovare nuove cure e provare a evitare queste tragedie».
La conversazione con la Wagner si sposta gradualmente sui binari sportivi. E qui Tadej, giunto alle spalle di Vingegaard dopo aver vinto il Tour de France per due anni di fila, fa una riflessione su vittoria e sconfitta: «Ci sta che tante persone dicano che ho perso il Tour, ma io trovo che un secondo posto alla Grande Boucle sia in assoluto un gran risultato: il miglior modo possibile di perdere, diciamo così. Nella fatidica tappa del Telegraphe-Galibier-Granon non mi sono idratato abbastanza e ciò, unito all’efficace tattica della Jumbo Visma, mi ha portato alla scalata finale senza benzina. Di sicuro una stagione come la 2022 mi serve a capire meglio cosa posso ancora migliorare. Ma ricordiamoci che, nel ciclismo come nella vita, è impossibile fare sempre giusto al 100%.»