In un perfetto scenario di orwelliana memoria (il buon George non si dispiaccia per aver nominato il suo nome invano) possono cominciare i due minuti d’odio; ma questa volta il momento per farlo non è una riunione di partito, l’avversario sugli schermi non è un nemico crudele che minaccia la patria. Niente di tutto ciò.
Il nemico da odiare stavolta è Chris Froome, quattro volte vincitore del Tour de France, apparso in difficoltà nei primi giorni di questo Giro D’Italia e staccatosi nell’ultima tappa con arrivo sul Gran Sasso.
Doverosa premessa: chi scrive non ha mai amato il corridore britannico per il modo in cui corre. Non perché il keniano bianco non sia mai stato in grado di dare spettacolo, ma perché il suo modo di gestire la corsa, la sua attenzione maniacale per i numeri, il suo non discostarsi mai dai valori massimi indicati nel suo computerino ne hanno reso un corridore troppo schiavo dei numeri e poco avvezzo all’improvvisazione, componente anch’essa necessaria nel ciclismo attuale.
Chris Froome, in questo Giro D’Italia è apparso più umano (fosse la prima volta), con una squadra lontana dall’essere la corazzata degli scorsi anni e delle gambe che non girano come dovrebbero. E allora, via con le dietrologie: “senza ventolin non è più lo stesso corridore’’, così come qualche mese fa andava di moda il “che fosse dopato lo si vedeva da anni”.
Il riferimento allo scandalo doping che lo ha colpito lo scorso anno è stato fra i più gettonati negli ultimi giorni sui social, la tesi secondo cui il corridore britannico abbia ottenuto i suoi successi grazie agli “aiutini” spopola sul web. Se chi di dovere sentenzierà che il famigerato aiutino ci sia stato è giusto che gli venga revocata la vittoria dea scorsa Vuelta; la legge è uguale per tutti. Ma, pur non essendo propriamente un esperto in materia, chi scrive non è convintissimo del fatto che il doping abbia effetto retroattivo. Quindi, se la memoria non inganna, prima di settembre 2017 (data dell’accusa) il palmares di Froome vantava quattro Tour de France: noccioline. Deduzione logica: al momento chi dice che il britannico ha vinto solo perché dopato parla di aria fritta. Amen.
Ora, se dovessero emergere altri dettagli a suo carico, chi scrive sarà il primo a fare mea culpa. Ma ai dati attuali non c’è niente che faccia sospettare ciò. Quindi, che ci si metta l’anima in pace una volta per tutte, si inizi a considerare le difficoltà di Froome sotto un altro occhio, e si cerchi di capire sul serio i motivi di queste difficoltà. Innanzitutto il corridore quest’anno partiva con l’obiettivo della doppietta Giro-Tour: probabile, quindi, che abbia svolto una preparazione che gli permetta di entrare in condizione più tardi, in modo da mantenere il picco della forma più tempo. Coloro che sostengono che sia un modo per snobbare il Giro non si scandalizzino: è l’approccio più naturale per chi tenta un impresa del genere. Chi, con questo obiettivo in mente, ha provato a strafare alla corsa rosa, quasi sempre si è trovato senza energie in Francia. E lo stesso Froome lo scorso anno ebbe un approccio più prudente al Tour per cercare di mantenere la forma in ottica Vuelta.
In secondo luogo correre con la spada di Damocle della possibile squalifica addosso potrebbe risultare difficile anche per un corridore esperto come lui. Inoltre ci si dimentica troppo spesso che il britannico è caduto per ben due volte in pochi giorni: lecito pensare che le conseguenze delle cadute lascino strascichi nelle tappe successive.
Come finirà questo Giro non lo potremo mai sapere: Froome ci ha abituati, soprattutto nelle corse in cui non arrivava al top della forma, a stupire tutti proprio quando sembrava fuori dai giochi, e le rimonte in tappe della Vuelta in cui, dopo aver pagato distacchi nelle parti iniziali della salita, si è rimangiato uno ad uno tutti i corridori ed è arrivato con i primi dovrebbero insegnare.
Può non piacere, ma Froome è probabilmente, insieme a Contador, il più forte corridore da corse a tappe del nuovo millennio, impariamo ad apprezzarlo come tale, anche se il suo modo di correre non c’è lo fa apprezzare al pari di altri.
Ed in ogni caso, smettiamola di dover odiare per forza ed a tutti i costi, finiamola di esultare per le cadute e per le pene altrui. Soprattutto se parliamo in nome dello Sport.
Raffaele Digirolamo