“Non ci sono le condizioni per organizzare la corsa – spiega il presidente – Le solite e ripetitive frasi di circostanza non sono sufficienti. Inutile che continuino a ripetere: il Liberazione non può morire dopo che tanti hanno contribuito a togliergli ossigeno anno dopo anno con un’ostinazione degna di miglior causa. In pochi hanno mostrato di avere per davvero a cuore la corsa.
Ringrazio Mario e Simone Carbutti di Cicli Lazzaretti: hanno consentito di organizzare le ultime due edizione e sono stati i soli a effettuare tentativi per l’edizione di quest’anno. Ringrazio Massimo Castaldini, Sandro Chiaperotti, Donato Rapito e Claudio Iannilli di Tritype.
Ringrazio Riccardo Viola, unico esponente degli enti sportivi a esprimere solidarietà non solo a parole: sordità e impotenza hanno contraddistinto le istituzioni a tutti i livelli, dalle locali alle nazionali, da quelle sportive a quelle politiche.
Né ci sono stati vicini quei giovani dirigenti di società ciclistiche romane che, fingendo di collaborare, hanno sfruttato per proprio tornaconto il Liberazione.
Mai, tuttavia, mi sarei aspettato che la pietra tombale sulla storia del Gran Premio della Liberazione fosse apposta da due degli organizzatori più celebrati dell’attuale momento ciclistico: l’uno pronto a far bloccare somme sui conti personali e l’altro, ahimè , dimenticò di essere stato lanciato nel mondo del giornalismo da Gino Sala e dal circuito storico delle Terme di Caracalla”.
Da Gustavo Guglielmetti nel 1946 a Vincenzo Albanese nel 2016: l’albo d’oro si ferma qui.